Centoquattresimo Reparti d'Assalto.

Centoquattresimo Reparti d'Assalto.

sabato 28 ottobre 2017

UDINE - PORTA PRACCHIUSO, 28 Ottobre 1917.

  
"Le cicatrici dell'Ardito Colombo Carlo, quello che ha ucciso il Generale tedesco a Udine".

Il 28 ottobre 1917 una delle più tristi giornate della dodicesima battaglia, quella di Caporetto [...].
   Dopo lungo peregrinare i superstiti del II Reparto d'Assalto comandati dal Capitano Abbondanza la mattina di quel giorno, all'alba, sono andati incontro al nemico che era stato segnalato nei pressi delle villette che sorgono vicino al passaggio a livello di Udine.
   Gli Arditi si erano apprestati a difendere quell'abitato quando si iniziò un intenso fuoco a granate e a shrapnels.
   Il caporale Carati Pierino ebbe l'ordine dal Ten.Tuzzi di fiancheggiare con la sua squadra la linea di difesa creata a ridosso delle villette del sobborgo.
   Verso le dieci si ebbero i primi scontri con i soldati del chiodo.
   Dopo una violenta azione durata pochi minuti quelli del chiodo dovettero ritirarsi e lasciare sul campo alcuni morti, dei feriti e materiale bellico.
   Mentre avveniva la fusione dei residui del primo e del secondo reparto Arditi, comparve un'automobile con sopra degli ufficiali tedeschi che avanzava come fosse in casa sua.
   All'apparire, la macchina venne accolta da una scarica di fucilate che in un primo tempo non servirono ad altro che a far rallentare la sua marcia. Sul bersaglio mobile, col tiro a palla, non arrivò nemmeno un colpo, quantunque numerosi Arditi e Bersaglieri ciclisti partecipassero alla sparatoria.
   L'automobile, il cui autista notò il pericolo e avvertì il fischio di qualche pallottola, si fermò;
   
Gen. Albert von Berrer
Dalla macchina scoperta, i passeggeri si alzarono per scendere. In quell'istante partirono due colpi di moschetto da una siepe, dove stava appiattito un Ardito: Colombo Carlo. Uno di questi colpi raggiunse un ufficiale (il Generale von Berrer) che si adagiò di nuovo sul divano della vettura. Coloro che accompagnavano il Generale, scaricarono le loro rivoltelle sull'Ardito che aveva sparato da pochi metri, e lo colpirono con parecchi colpi all'addome e alla schiena, perché dallo spasmo delle ferite il Colombo, steso a terra, si avvoltolava nel fosso. [Estratto dalla relazione del Comando Supremo tedesco in merito all'uccisione del Generale von Berrer]
   Questa duplice sparatoria richiamò l'attenzione di parecchie pattuglie germaniche, che stavano appostate in un campo di granturco e che avevano iniziato poco prima uno scambio di fucilate colle nostre pattuglie di Bersaglieri e di Arditi.
   Dato che l'automobile si fermò, in seguito al tiro di fucileria, vari tiratori che avevano presa di mira la vettura, credettero di aver colpito il Generale stesso. E' giustificato questo fatto poiché il tiro partì da varie località dove stavano appostati parecchi tiratori isolati.
   Solo quelli che accompagnavano il Generale sono in grado di giudicare come venne colpito il loro capo, tanto è vero che reagirono contro l'Ardito Colombo che ritennero poi morto, crivellato dai loro colpi di rivoltella.
   Il merito quindi dell'uccisione del Generale von Berrer è di tutti coloro, Arditi e Bersaglieri, che coi loro colpi costrinsero la macchina del Generale ad arrestarsi, facilitando il compito all'Ardito Colombo Carlo di Milano che poté tirare il colpo fatale su di un bersaglio vicinissimo e fermo.
   Questo colpo gli doveva costare la vita, se non fosse stato più tardi raccolto agonizzante da alcuni Arditi rimasti prigionieri, che lo trasportarono nell'ospedale di Motta di Livenza.
   Dopo l'episodio del Generale von Berrer, riunitisi gli Arditi, superstiti di poche squadre, si accinsero alla difesa di Porta Pracchiuso che accede alla città di Udine.
Il Tenente Tuzzi distese parte della sua compagnia su di un rialzo di terreno appena dietro la cinta daziaria e la squadra del caporale Carati Pierino occupò la porta, e sprangò il cancello di ferro.
   Dopo le prime scaramucce a colpi di moschetto, venne la foraggiata di petardi ed i tedeschi si ritirarono nelle case vicine a Porta Pracchiuso.
   Dalle finestre iniziarono il tiro di precisione ed in poco tempo caddero morti il Tenente Tuzzi ed il Tenente Lalli che tenevano il comando delle compagnie.
   Il cap.Boni venne ferito ad una gamba dalla stessa pallottola che aveva trapassato la spalla del caporale Carati.
   Degli altri Arditi che difesero Porta Pracchiuso nessuno rimase vivo, dopo di che il nemico poté entrare in Udine.
   A ricordo di questi Arditi leggendari, che si fecero uccidere tutti sulla soglia della città, non è stata messa ancor oggi una lapide che ricordi il fatto.
   Il caporale Carati, ferito, tentò di raggiungere alcuni commilitoni per collegarsi, nonostante che il Capitano Radicati del Primo Reparto Arditi lo dissuadesse. Egli avvertì il Carati che andava in bocca ai tedeschi che si erano infiltrati fra le nostre pattuglie, ma Carati volle ad ogni costo tentare il collegamento. Difatti, dopo pochi passi, venne circondato da parecchi tedeschi, ma non si arrese. Strappò coi denti, non potendo muovere un braccio, la coppiglia di una bomba a mano e la gettò fra quelli che lo circondavano. Uno scoppio tremendo... alcuni lamenti... una densa nuvola di fumo, al diradarsi della quale ricevette un tremendo colpo alla testa col calcio di un fucile. Stramazzò a terra.
   Il caporale Carati riprese i sensi alcuni giorni dopo in casa di una vecchia levatrice, certa Caterina, che lo tenne nascosto sperando nel ritorno degli Italiani. Ma la speranza venne a mancare, e l'Ardito Carati, scoperto, passò al campo di concentramento dei prigionieri.
[Testo da "Arditi in Guerra", Giuseppe Comelli (Ten.Anonimo), Milano, 1934; immagine da "Glorie e Miserie della Trincea", G.Comelli, Milano, 1933.
Giuseppe Comelli, il Ten.Anonimo
   [...] E' necessario chiarire un punto particolarmente importante, e cioè l'uccisione del Generale von Berrer, Comandante il III Corpo d'Armata del Brandeburgo.
   Il comunicato italiano del 4 novembre 1917 così descrive l'uccisione del von Berrer:

   "Due nostri carabinieri nel pomeriggio del 28 ottobre nelle vicinanze di una delle porte di Udine scaricarono i loro moschetti contro una automobile che portava il Generale von Berrer Comandante il III Corpo d'Armata del Brandeburgo e che era accompagnato dall'ufficiale di ordinanza von Graevenitz. Il Generale rimase ucciso; il Ten von Graevenitz, gravemente ferito, venne fatto prigioniero".

   Molto si è scritto, in libri e giornali, circa la fine del von Berrer, ma tutte le versioni mancano di qualsiasi fondamento storico.
   L'unico che ci fornisca delle notizie precise è il Tenente degli Arditi Giuseppe Comelli il quale ha voluto svolgere a riguardo una accurata e diligente indagine rivolgendosi all'Ufficio storico dell'archivio di guerra tedesco, dal quale ha avuto il seguente estratto dal diario di guerra del "Comando Generale a destinazione speciale n.51":

  "28-10-17 Dislocazione: Modrojce
             Tempo: forte pioggia

   Partenza di S.E. di prima mattina, accompagnato dal I Aiutante Maggiore Bender, dall'Ib. (Hauptm. Boeszoermeny) e dall'ufficiale di collegamento della 26. I.D. (Oberleutn. Graevenitz) per Azzida e Cividale fino alle truppe di prima fila per incitarle personalmente ad un energico inseguimento. Con tempo fosco e quindi poca visibilità l'automobile di S.E. si addentrò nel villaggio di S. Gottardo (2 km. ad est di Udine) ancora occupata da italiani dispersi. Preso di mira a breve distanza Sua Eccellenza cadde colpito alla testa e con lui il Boeszoermeny; il Ten. v. Graevenitz sembra sia stato fatto prigioniero (10 antemeridiane)".

  
Hans von Graevenitz
In possesso di tale documento, il Ten. Comelli si è messo alla ricerca del von Graevenitz.

   Egli - afferma il Comelli - vive ancora ed ha dichiarato prima di tutto che ad uccidere gli Arditi italiani sono stati i soldati delle pattuglie; inoltre dichiara che la schioppettata che ha ucciso il suo Generale l'ha sparata un soldato che aveva la giubba aperta e le mostrine nere; non sa dire chi ha sparato il colpo che uccise l'Aiutante Maggiore, seduto vicino al Generale von Berrer..
   Dopo tali precisazioni che provengono da parte tedesca c'è da ritenere che il comunicato ufficiale non sia esatto: non vi può essere più alcun dubbio sulla circostanza che il von Berrer cadde sotto i colpi degli Arditi del I Reparto d'Assalto, a cui era stata affidata, come si è visto, la difesa di Udine.
   Da "Le Truppe d'Assalto Italiane", Salvatore Farina, Roma 1938.


 

sabato 7 ottobre 2017

DAL FRONTE: BEI VENT'ANNI.

Sdricca di Manzano, Settembre 1917.



"L'Ardito si diverte", tavola di Antonio Rubino da "La Tradotta", giornale di trincea, ottobre 1918.

    Ancora tutto pieno di festa e di baraonda era il campo della scuola delle Fiamme Nere, dopo l'ultima azione fortunata sull'altopiano della Bainsizza.

   Tra i fez dei bersaglieri nuovi venuti e la penna aguzza degli alpini facevano spicco pel campo le bende bianche dei feriti che, di primo mattino, non sapevano restare sotto la tenda e tanto meno decidersi d'andare all'ospedale.

   Gli sciancati andavano salterellando su un solo piede appoggiati a pertiche lunghe; quelli col capo fasciato venivano avanti, guardando dall'alto in basso il terreno con un mezz'occhio arguto, col passo molle dei ballerini, e battendo avanti una bacchetta sui sassi, come rabdomanti; uno teneva la sigaretta fra due dita giganti, avvoltolate d'ovatta e di cotone; tipi di visiere al berretto bruciate e torte, giubbe tagliate a fette appena tenute su da spille chiuse. Galli spennacchiati e sanguinolenti che a nessun patto vogliono lasciare il gallinaio. Ma specie dopo un'azione c'è tante cose da arrangiare! Da per tutto si improvvisano piccole aste e mercati di cimeli, uffici di cambio e di sconto, contratti d'appalto per targhe e medaglie commemorative prese ai prigionieri, elmetti, berretti, binocoli, rivoltelle, buste di carte e documenti: tutti si cacciano in commercio con interessi straordinari....

   Al primo ingresso del campo-scuola colpisce il disordine; si ripensa alle stampe degli antichi bivacchi di guerra, quelle cogli artiglieri seminudi e i tamburini insanguinati. Oggi che la guerra ha imparato ad amministrar fulmineamente il rendimento di ciascun uomo nella lotta, e a provvedere a metter subito via feriti e invalidi, a compensare le perdite e riorganizzare istantaneamente i quadri, si ritrova, e quasi con una pigra compiacenza, che fra gli arditi volontari delle Fiamme Nere c'è ancora qualche bella confusione e libertà (almeno nelle apparenze), un più vivo rigoglio di individualità, qualcosa di schiettamente garibaldino.

  
Gli Arditi si esercitano nella lotta corpo a corpo.
Sdricca di Manzano, 1917.
   Ma nell'assestamento generale della disciplina di tutto l'esercito, diremo così regolare, questo pugno di volontari s'è messo da sé nella condizione d'operare, in combattimento e nei riposi, come fosse libero di fare o non fare quello che invece gli vien comandato, precisamente come tutti gli altri.

   Questo è il primo segreto della fortuna di una organizzazione come questa nella quale affluisce ogni giorno tanta simpatica gente. Sono tutti vecchi soldati che sanno a meraviglia ciò che non è consentito dai regolamenti e quali punizioni spettano a ciascuna colpa: ognuno anzi è in rado di fare sfoggio, quando capita, d'una perizia delle prescrizioni quasi curialesca.

  
La loro allegria, arroganza, ribalderia sa benissimo dove si deve fermare, a che punto c'è la semplice, c'è la rigore, e il carcere militare: in ogni modo si comportano in maniera da non sprecare tanto margine.... Rifuggono dalle punizioni per il disgusto che hanno della goffaggine delle punizioni disciplinari in tempo di guerra: come a dire stare a cuocere in una specie di paretaio sotto le bucce che gettano quelli che passan fuori, stare a pane e acqua con l'appetito che viene all'aria aperta. Il soldato capisce giusto quanto sia poco sensato mettere il superiore nella necessità di ricorrere a questi estremi e far perdere il tempo alle sentinelle. Per questo nella gabbia dei "mostri", così sono chiamati i puniti nelle Fiamme Nere, c'è sempre poca mandria.

Esercitazioni ginniche degli Arditi.
   Di solito i reduci dell'ultime azioni per qualche giorno sono lasciati a riposare e fanno la vita "maestosa" mentre nel campo della scuola seguitano a incrociarsi nell'istruzione i plotoni e le squadre dei novizi e di quelli che dopo il riposo si rallentano. Ammirevoli le istruzioni sotto il punto di vista della furia e della gagliardia che tutti ci mettono. "Questo è un plotone di morti!" - grida un istruttore per accendere i suoi uomini con un'urlo da grandissimo teatro, e allora le nappe blu di quaranta bersaglieri offesi vanno di qua e di là come disperate.

  
La "piramide umana" con le mitragliatrici.
Qui il soldato perde veramente un po' di quella linea insonnolita che conferiscono di necessità le istruzioni fatte a grandi masse di fanteria per preparare ai belli effetti d'insieme, che oggi servono più poco; qui si vedono magnifici giochi di forza, gesti classici di lotta (e portentosi scapaccioni), e splendide gare di ginnastica. In un angolo del campo gli alpini si danno a un sistema di bracciate che un di noi ci rimarrebbe stritolato. I delicati non ci resistono, presto filano via. I visi pallidi non fanno fortuna tra questi pellirosse.

   Gli ufficiali, con una magnifica daga d'oro ricamata sul braccio sinistro, sorvegliano la piazza e non stanno mai fermi, balzando da una squadra all'altra, strillando come aquile sul muso degli arditi; giacché tutto questo andare e venire è accompagnato da un continuo tuono d'artiglierie sparate a due passi, da uno scoppiare continuo di bombe, da uno sparare feroce di mitragliatrici. I cannoni con le loro mucchie di munizioni sono piazzati in mezzo alla gran folla, le mitragliatrici sono appostate sugli alberi, sopra il capo di tutti. In brevi radure d'uomini scoppiano petardi e bombe a mano, da ogni punto si levano cortine di fumo che il vento radente porta in giro qua e là, sì che sulle prime par d'essere saliti sopra un palcoscenico un po' pericoloso. Ma guardiamoci dal fare questa figura da principianti....

Antonio Rubino, l'addestramento degli Arditi, cartolina, 1918.
    Il fante dopo due anni di guerra oramai sa che malizie ci vogliono per trattare col fuoco. Sa a che distanza la fiamma delle bombe  ancora può mordere, a che raggio e a quale altezza le scheggie dei piccoli calibri cominciano veramente a diventare cattive, conosce i fischi e le intenzioni dei medi e grossi calibri, sa quali sono, alla fine, le bestie trattabili. Maestro dell'olfatto, delicatissimo dell'udito, cronometrista dell'esplosione, ha imparato a correre avanti con una bravura e un calcolo che oramai sostituisce in lui quell'istinto di conservazione troppo rozzo che così spesso in guerra perde gli uomini.

   Ora, tutte queste lunghe esperienze, alla scuola degli arditi vengono raffinate, avvalorate e sancite, con un'assidua pratica della fiamma e del tuono. Una scuola facile ma tremenda.

  
Esercitazioni di assalto "alla collina tipo".
Sdricca di Manzano, 1917.
Mentre ad un ordine dato uomini appostati ai piedi d'una collina-tipo irrompono da una trincea per arrampicarsi sulle coste, l'artiglieria apre l'inferno avanti ai passi di ciascuno. Allora si vede questa muta sguinzagliata scomparire tra i pilastri e le fontane di terra e di fumo che l'esplosioni levano al cielo, mentre tutt'intorno la mitragliatrice fa un suo ricamo pauroso a pochi palmi dagli assalitori frustando la rossa polvere via dal terreno arido. Gli arditi segnano la loro avanzata scaraventando petardi, bombe incendiarie, saettando a varchi dei reticolati lunghi zampilli di fuoco volante.

   E mentre vanno su, il mitragliere, di sull'albero, assesta, da "virtuoso", i suoi colpi tra uomo e uomo: come uno scrittore che non si contenti mai sulla pagina d'aver messo una punteggiatura sufficiente, veramente persuasiva. E così, pian piano, che il fante divenuto Fiamma Nera impara a diventare sacrilego con le deità del fuoco, fin a sputarci sopra. Saltano nei roghi come truppe di volata potrebbero gettarsi, da un agguato, in mezzo a uno squadrone per tagliare i garretti ai cavalli. E se tornasse Pirro coi buoi lucani, e non bastasse l'artiglieria, apprenderebbero nello stesso modo la tattica di buttarsi tutti sotto, a castrare gli elefanti.

  
Bisognerebbe vedere la faccia che hanno questi ragazzi provocatori che sanno di star così bene coi larghi risvolti della giubba aperta sul maglione grigio, dove appunto portano cucite le fiamme, che facce da schiumatori di trincee! Sono i re incontrastati del paese e delle campagne che li hanno alloggiati. All'ora della libera uscita, verso sera, è però consigliabile che le ragazze da marito stiano ritirate, spranghino gli usci, tutt'al più rimangano alla finestra; ma non per sentirne delle belle.

   E se pur buona parte di quello che se ne racconta è ancora leggenda, una cosa è certa, ch'essi sostengono la loro fama di pese con una sempre fiera andatura, e qualche bomba che dicono di essersi riservata in fondo alle tasche. Smargiasserie più che naturali col fracasso che hanno dalla sveglia nelle orecchie, colle bastonate che per gioco, ma  con molto studio, si sono dati durante le ore di scuola.

  



   Ma chi ha visto un giorno sbucare dalle vie natisonesi una colonna dei loro camions con in testa un'enorme bandiera tricolore, con urli, canzoni di gioia e colpi di moschetto sparati in cielo attraverso il tendone dei carri, e venir in corsa, dietro, i ritardatari e quelli che avevano tagliato la corda per non mancare sulle linee alla nuova partita, chi li ha visti così partire viene la notte che si risogna questi bellissimi figliuoli. Elettrizzati da un'idea meravigliosamente sbagliata: di fare la guerra per conto proprio, partita privata.

Gente di vent'anni: andargli a esporre i perché e i percome della guerra sarebbe una sciupatissima fatica; andargli a commentare la nota del Papa e la contronota di Wilson sarebbe parimenti di pessimo gusto: a quell'età persino il padre e la madre paiono un po' nemici, quando si vive in casa, e Patria non si capisce ancora che cosa sia. A quell'età si fa la guerra - una guerra che darà grandezza alla Patria - pensando prima di tutto a portar via all'ufficiale austriaco il berretto, le coccarde, il binocolo e la rivoltella.


[articolo a firma Antonio Baldini da "L'Illustrazione Italiana" del 7 ottobre 1917]